Mobilità sanitaria: facciamo chiarezza
I viaggi della salute in Italia
Con mobilità sanitaria si intende la situazione in cui un paziente si sposta dalla zona in cui vive per cercare cure e terapie. Ogni anno più di 1 milione di italiani emigra per accedere a prestazioni sanitarie che hanno dei costi elevati soprattutto per le regioni del Sud e con un giro d’affari pubblico nel 2017 calcolato dalla Fondazione Gimbe in circa 4,6 miliardi di euro. La situazione non è delle più rosee: nel 2016 oltre 12 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare ai trattamenti per cause economiche e nel frattempo la spesa sanitaria privata ha superato la soglia dei 35 miliardi di euro.
I diversi tipi di mobilità sanitaria
Lo spostamento può avvenire all’interno dello Paese, migrando da una regione ad un’altra, oppure da uno Stato ad un altro, dove la sanità può avere regolamentazioni diverse.
La mobilità viene utilizzata anche in ambito legislativo per descrivere il flusso monetario (il termine marketing sanitario descrive molto bene la dinamica)che prosegue nella stessa direzione dei pazienti che si spostano, partendo dal Fondo Sanitario Regionale o Nazionale.
Si individuano tre tipi di mobilità sanitaria:
- Intraregionale (o regionale), che descrive lo spostamento dei pazienti all’interno dei confini della regione nella quale vivono;
- Interregionale, che indica una mobilità da una regione ad un’altra per lo più alla ricerca di cure migliori rispetto a quelle offerte dalla regione di provenienza. Nel caso di regioni confinanti la situazione cambia da caso a caso, spesso avviene un accordo tra le regioni interessate per lo scambio di risorse. Ciò che caratterizza la mobilità interregionale è la distribuzione disomogenea dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che dovrebbero essere ripartiti in maniera uguale in tutte le regioni dello Stato.
- Internazionale, che riguarda casi limitati rispetto alle altre due tipologie, caratterizzati dalla ricerca di specifiche cure non disponibili o considerate non all’altezza nel proprio Stato di appartenenza o per le quali i tempi di attesa sono molto lunghi. La mobilità internazionale descrive anche la situazione in cui un utente ha bisogno di un intervento sanitario mentre si trova all’estero e, inoltre, fa riferimento – per i casi interni italiani – allo Stato del Vaticano, Stato di San Marino e il Comune di Campione d’Italia (Svizzera).
In ogni caso, la migrazione si realizza a seguito all’autorizzazione rilasciata dalla Asl di appartenenza del paziente, ad eccezione dei casi di richiesta di assistenza durante la permanenza dell’utente all’estero. Da parte dei pazienti deve essere presentata tutta la documentazione necessaria per dimostrare il diritto all’assistenza.
Mobilità attiva e mobilità passiva: cosa sono?
Dal punto di vista amministrativo si possono distinguere una mobilità attiva e una mobilità passiva: la prima riguarda l’arrivo di fondi in entrata per coprire i costi con cui si sono garantite le prestazioni sanitarie ai pazienti di altre regioni o Paesi; la mobilità passiva riguarda l’invio di fondi che corrispondono ai costi per ripagare le altri regioni o Paesi dei servizi che hanno messo a disposizione per curare i pazienti in uscita. Dal punto di vista finanziario, la mobilità attiva è una fonte di credito, mentre invece quella passiva è una fonte di debito: le differenze tra l’una e l’altra forniscono l’idea del livello di ciascun Servizio Sanitario Regionale e alcuni dati relativi alla soddisfazione dei cittadini relativa ai servizi.
La mobilità si compone di più divisioni, ognuna della quale ha diverso significato:
- La migrazione di base, ovvero lo spostamento per motivi geografici come collegamenti o vicinanza ad altre regioni;
- La migrazione fisiologica, che descrive la situazione in cui il paziente ha bisogno di cure in altri centri, per cui lo spostamento è inevitabile;
- La migrazione evitabile, quei movimenti che potrebbero essere ridotti grazie all’informazione e a un corretto stanziamento delle risorse diagnostiche e terapeutiche.
Il turismo sanitario ha un significato anche in termini di analisi dei risultati, con la possibilità di pensare a nuove offerte, miglioramento dei servizi, correzioni del sistema.
Dall’analisi svolta sulla maggior parte dei servizi sanitari rivolti a cittadini che sono emigrati per cure e terapie emerge la motivazione per la quale queste persone si sono spostate. In alcuni casi si parla di mobilità apparente, quando cioè i pazienti abitano nelle zone in cui ricevono le prestazioni, ma la loro residenza risulta essere altrove. Dal punto di vista economico la mobilità sanitaria è riconosciuta a tutti i pazienti che hanno domicilio e residenza in luoghi diversi. Si tratta di una problematica burocratica caratterizzata da numerose regole che ruotano attorno alla differenza tra i concetti di residenza e domicilio, che a volte non viene colta e porta a numerosi casi di migrazione evitabile.
Il crescente fenomeno dei viaggi della salute
I viaggi della salute sono un fenomeno in costante crescita. Nella stragrande maggioranza da Sud a Nord Italia. Ma anche dall’Italia verso l’estero. Alla ricerca di cure migliori rispetto all’area nella quale si abita e con un giro d’affari pubblico nel 2017 calcolato dalla Fondazione Gimbe in circa 4.6 miliardi di euro, cifra che include anche i conguagli relativi al 2014, pari a 218,9 milioni, e al 2016, 296,3 milioni. Gli importi non sono stati ancora definitivamente approvati dalla conferenza delle Regioni e delle province autonome. E se nel 2015, dice il Censis, i ricoveri fuori regione di residenza sono stati 750 mila, nell’anno successivo sono saliti a 930 mila a cui vanno aggiunti 825 mila accompagnatori, un aumento del +21,4% rispetto all’anno precedente. Come riporta l’Istituto Demoskopika, la maggior parte dei pazienti “fuori sede” arrivano dalla Puglia, ma al secondo posto, un po’ a sorpresa, c’è il Piemonte, poi l’Emilia-Romagna.
La Regione più attrattiva in mobilità sanitaria è la Lombardia che incassa oltre 800 milioni di euro, seguono l’Emilia-Romagna con 358 e il Veneto con 161. Bene anche Liguria e Toscana, soprattutto grazie alle ottime performance del Gaslini di Genova e dell’Ospedale Meyer di Firenze. In Lombardia spiccano invece l’Istituto nazionale dei tumori e il San Raffaele, a Milano, ma anche le strutture bergamasche giocano un ruolo non indifferente.
In generale, i malati lombardi hanno l’indice più basso di migrazione (passiva) in altre regioni: la Lombardia registra infatti il rapporto minore dei ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri. In saldo negativo, dice ancora il report della Gimbe, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Lazio, quest’ultima regione con qualche eccezione.
Stando ai dati forniti dall’Ats di Bergamo aggiornati al 2017, e pubblicati su “L’Eco di Bergamo”, i ricoveri di pazienti non lombardi nelle strutture pubbliche o private accreditate ammontano a 15.180 per un totale di crediti pari a 69 milioni e 800 mila euro. Il report Gimbe propone un nuovo indicatore per descrivere il nuovo fenomeno di marketing sanitario, il “saldo pro-capite di mobilità sanitaria”, che permette di analizzare e interpretare i saldi in relazione alla popolazione residente determinando una ricomposizione della classifica.
Turismo sanitario verso e oltre confine
Il turismo sanitario nel mondo genera attualmente un giro d’affari di 70 miliardi di dollari. Secondo le stime dell’Osservatorio Ocps-SDA Bocconi, il marketing sanitario genera nel nostro Paese un valore pari a 2 miliardi di euro anche se il saldo è ancora negativo: sono 5 mila gli stranieri arrivati in Italia, principalmente da Paesi Arabi, Russia, Svizzera, Balcani, spinti dalla ricerca di trattamenti ad alto tasso di specializzazione in neurologia, cardiochirurgia, oncologia, ma sono oltre 200 mila italiani (per qualche altra associazione supererebbero i 300 mila) che vanno oltre confine cercando, prevalentemente prestazioni meno care in chirurgia dentale, estetica e ricostruttiva, trapianto dei capelli.
I 5 mila pazienti arrivati nel nostro Paese hanno speso mediamente pro capite da 20 a 70 mila euro per le terapie. I principali ospedali italiani per numero di pazienti trattati provenienti dall’estero sono l’Istituto Europeo di Oncologia, il Gruppo San Donato, l’Humanitas di Rozzano e il Gruppo Centro di Medicina.
Gli italiani coinvolti invece sono cresciuti del +150%. Si muovono prevalentemente in Europa, ma non solo: oltre 40 mila persone l’anno lasciano l’Italia per sottoporsi a interventi di chirurgia plastica in Brasile, Messico e Thailandia. L’italiano che sceglie l’estero per curarsi è nella maggioranza uomo, tra i 18 e i 39 anni, attratto da promozioni (oltre all’intervento nei pacchetti c’è dentro il trasporto, l’alloggio e visite guidate) e dalle possibilità economiche di media/buona entità. Per fare qualche esempio, una blefaroplastica (ringiovanimento delle palpebre) in Croazia costa circa 1.200 euro, 2.600 euro è il valore medio di un lipofiller (prelievo del grasso) al seno in Turchia, 1.300 euro per quattro impianti e 12 denti in Polonia. Il low cost sanitario attira. Sulla qualità restano i dubbi.
Circa 90 mila famiglie l’anno devono spostarsi
Il Censis ha calcolato che circa 90 mila nuclei familiari all’anno fanno i conti con la necessità di spostarsi per curare un familiare, spesso un minore. La spesa media per il vitto e l’alloggio segnalata varia dai 100 ai 500 euro per i ricoveri più brevi, ma circa il 20% dei migranti deve affrontare ricoveri che vanno anche oltre i 15 giorni. La maggioranza dei malati, l’85%, ha almeno un accompagnatore.
Sempre il Censis ha stimato che siano almeno 180 mila le persone che ogni anno devono passare lunghi periodi fuori casa per assistere un parente senza aver alcun sostegno per costi di vitto e alloggio. Se si ipotizzano circa 1.000 euro si arriva a 180 milioni. Un caso a parte poi va fatto per i pazienti oncologici la cui media di migrazione è doppia rispetto alle altre patologia. Alle spese mediche che annualmente costano alle famiglie circa 7/8 mila euro in media si aggiungono non meno di 1.700 euro all’anno per vitto, alloggio e spostamenti.
Tutti i costi della migrazione sanitaria
Un totale di 113 miliardi euro erogati dal Fondo Sanitario Nazionale (FSN) devono essere divisi tra le regioni. Dal bilancio tra entrata ed uscita 2017 si sono estratti i dati per regione:
- Lombardia: 601 milioni di euro
- Emilia Romagna: 348 milioni
- Toscana: 149,6 milioni,
- Veneto: 112,3 milioni
Chiudono la lista Friuli Venezia Giulia, Bolzano, Umbria, Molise. Ci sono però anche regioni con un bilancio negativo. Tra queste:
- Campania (-281 milioni),
- Calabria (-275 milioni),
- Sicilia (-179 milioni)
- Abruzzo (-72 milioni).
- Piemonte, Valle d’Aosta, Trentino, Liguria, Marche, Basilicata e Sardegna (-16 miliardi, sommati)
La regione che i pazienti italiani scelgono maggiormente per le loro cure e terapie è la Lombardia; essa rileva 936 milioni di entrate e 334 milioni di uscite dati dallo stretto rapporto con Emilia Romagna (incassa 112 milioni, ne cede 93,9) e con il Veneto (65,9 milioni in entrata), la Campania (76 milioni), la Puglia (78,9), la Calabria (66,7), la Sicilia (95,5), la Liguria (63 mln) e la Toscana (41,8).
La spesa sanitaria privata
La cifra della spesa sanitaria privata ammonta a 35,2 miliardi di euro, ed è in costante aumento.
Il sistema sanitario è in un momento negativo dato dalla mancanza di una cifra che si attesta ai 30 miliardi di euro che garantirebbe il mantenimento del livello dei servizi base.
Più di 12 milioni di italiani (per il 75% affetti da patologie croniche, con basso reddito o non indipendenti economicamente) hanno dovuto rinunciare a trattamenti sanitari nell’ultimo anno, mentre quasi 8 milioni hanno dovuto chiedere un aiuto economico per potersi sottoporre alle cure. Soltanto il 20% degli italiani riesce ad ammortizzare il colpo grazie all’aiuto di assicurazioni sanitarie.
La soluzione per questa situazione potrebbe essere l’adozione di un’assicurazione sul modello francese che porterebbe finanziamenti superiori ai 21 miliardi di euro l’anno, da integrare con il FSN: soluzioni di questo tipo garantirebbero di risparmiare cifre da poter utilizzare per i pazienti in condizioni economiche più sfavorevoli.
L’Accordo tra Stato e Regioni in merito ai LEP
L’art. 117, comma 2, lettera m della Costituzione sancisce che la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale è di competenza dello Stato».
Questo aspetto è messo in pratica in quanto esistono prestazioni di base previste a tutti i cittadini italiani. Garantire livelli essenziali delle prestazioni (LEP), e quindi superare gli ostacoli economici – oltre che sociali – è competenza dello Stato, come si legge nella Costituzione (cfr. Cost. art. 3, comma 2).
Ciò non significa che lo Stato deve offrire i servizi sanitari, bensì di occuparsi del fatto che i servizi siano resi disponibili per i cittadini che ne hanno bisogno.
Ci sono delle sanzioni per le strutture che non assicurano determinate prestazioni sanitarie di livello base, i LEP di cui si parlava in precedenza: questi livelli sono determinati dallo Stato, così come la loro esecuzione.